Il mio viaggio in Danimarca è cominciato mesi prima della partenza, con lo studio dell’itinerario e la prenotazione di voli, auto, hotel, traghetti, ingressi ai parchi, gite in barca (in genere non prenoto nulla e cerco direttamente sul posto, ma la Danimarca – si sa – è cara, quindi meglio non rischiare di trovare solo hotel troppo costosi). Un programma fitto, a cui continuamente ho aggiunto deviazioni per visitare un luogo di cui avevo casualmente visto una foto o sentito parlare. Alla fine ne è venuto fuori un percorso arzigogolato di circa 2300 km in 14 giorni, che, data la ridotta estensione del paese, mi ha portato a scoprirne tutti gli angoli.
PRIMO GIORNO
Arrivati (io, il mio compagno e mio figlio di 8 anni) in aeroporto a Copenhagen e ritirata l’auto a noleggio, partiamo subito verso sud, cercando di familiarizzare con un gps un po’ anarchico. Prima sosta a Lejre, per vedere il Ledreborg Slot, un castello privato giallo e rosso ben tenuto. Non è un’impresa facile: riusciamo ad avvicinarci solo lateralmente, ignorando i perentori cartelli “Privat”, da buoni italiani. Alla fine, il massimo che riesco a fare è fotografarlo infiltrandomi nel parcheggio di un campo da golf. Il tutto sotto una simpatica pioggerella di tipo inglese.
Raggiungiamo poi Køge, un bel paesino di basse casette colorate. C’è il sole, riusciamo persino a mangiare all’aperto bevendo appelsin (che – scopriamo – non è succo di mela: sapere l’inglese e il tedesco non serve a un tubo, perché apple e Apfel non c’entrano con appelsin, che è l’arancia).
Andiamo quindi a vedere un altro castello, il Vallø Slot, anche questo solo da fuori, perché è abitato da cinque vecchiette di sangue blu, quello che resta di una residenza per nobili zitelle. Gli giriamo tutto intorno, in un parco sterminato di erba perfettamente rasata con alberi secolari. Non piove, c’è il vento.
Dormiamo sul mare a Vordingborg, un paese desolato dove incrociamo in tutto due persone, un cane e un solo, terribile ristorante aperto. Il vento amplifica la solitudine, facendo rotolare lungo la via principale qualche cartaccia: la sensazione è quella di trovarsi in una cittadina del Far West prima di un duello.
SECONDO GIORNO
Raggiungiamo l’isoletta di Møn, a sud, e ci spingiamo fino alle scogliere bianche Møns Klint. Con l’auto si arriva sopra, quindi per vederle bisogna scendere 496 gradini fino alla spiaggetta. Il cielo è azzurro, il contrasto con il bianco delle scogliere è molto fotogenico. Fa caldo, soprattutto al ritorno (già, perché i 496 scalini vanno poi risaliti, non c’è via di scampo). Pranziamo a base di frikadeller (polpette) di carne o di pesce, è indefinibile.
Ce ne andiamo dall’isola verso nord e, attraverso una campagna caratterizzata da lievi ondulazioni, grano a perdita d’occhio e pale eoliche, arriviamo a Trelleborg, dove c’è la fortezza circolare vichinga. In realtà è un terrapieno rotondo con in mezzo alcune pietre disposte a formare i contorni di ipotetiche abitazioni vichinghe. Il luogo però è suggestivo, immerso nel verde dei prati, con le solite pale eoliche in lontananza e battuto da un vento che ti porta via e che cancella qualsiasi altro rumore.
Ci spostiamo infine a Kørsor, dove pernottiamo. Stendiamo un velo pietoso sulla cena.
TERZO GIORNO
Con cielo azzurro, sole e vento percorriamo lo Storebælt, un ponte lungo quasi 20 km che permette di passare sull’isola di Fyn, più piccola.
Arriviamo a Kerteminde e andiamo subito all’acquario, perché ho letto che alle 11 danno da mangiare alle foche (di una razza grigia a macchioline nere diffusa in Danimarca), che vivono in una parte di mare che è stata recintata. È vero, e scopriamo che – giustamente – lo fanno anche se diluvia. Pranziamo in un locale sul molo dal fascino davvero unico: è una stanza minuscola dove, oltre al nostro tavolino, c’è un’unica tavolata con una dozzina di lupi di mare che fumano come turchi. Il cucinino è minuscolo e sforna solo un piatto: pane tostato con aringa o salmone o maccarello affumicati o con polpette. Quando usciamo, puzzolenti di fumo e affamati, ci mangiamo un pølse (un tipico würstel di un colore rosso inquietante infilato in una mezza baguette). Ma siamo comunque soddisfatti di essere stati in quel locale, per la sua atmosfera improbabile e fuori dal tempo.
Dopo un giro tra le casette colorate a graticcio della cittadina, proseguiamo per Odense. Per cercare la casa natale di Andersen, giriamo in tondo per chilometri (e fa pure caldo), un po’ a causa di cantieri mastodontici, un po’ perché è stata letteralmente rinchiusa all’interno di un moderno museo. Lasciamo perdere, fa niente, mi tengo il ricordo che ho di quando l’avevo vista a 8 anni, preferisco. Facciamo invece un giro tra le viuzze del quartiere vecchio, con le tipiche casette colorate (gialle, soprattutto), talmente basse che per entrarci probabilmente bisogna chinarsi.
Per stradine secondarie attraverso la campagna, raggiungiamo Fredericia, passando sul ponte che ci porta sulla terraferma, nella penisola dello Jylland (Jutland). Sulla cena preferisco tacere. La Danimarca non è adatta per tour enogastronomici.
QUARTO GIORNO
Andiamo a Kolding, dove ci sono alcune case a graticcio vecchissime molto belle. Proseguiamo per Ribe, la città più antica della Danimarca. Anche qui troviamo belle casette a graticcio colorate, tutte sbilenche, perciò ancora più particolari.
Transitiamo poi per Esbjerg, sostando per una passeggiata sulla spiaggia (c’è la bassa marea) dominata dal gruppo scultoreo Mennesket ved Havet (“L’uomo incontra il mare”): quattro enormi uomini di pietra bianchi seduti di fronte al mare.
Pernottiamo a Brande, che ha ospitato una rassegna di artisti di strada, quindi è tutta colorata, dal suolo ai paracarri, ai muri. Riusciamo persino a mangiare bene in un ristorante molto carino.
QUINTO GIORNO
La giornata è interamente dedicata al parco di Legoland, a Billund. Imperdibile per chi ama le giostre e/o per chi va in Danimarca con bambini. Notevole la parte di Miniland, dove sono ricostruite in miniatura, interamente con mattoncini Lego, molte città europee, con treni e navi che viaggiano, pale eoliche che girano, chiuse che funzionano davvero. Si paga il biglietto d’ingresso e poi si può fare tutto quello che si vuole, compresi sei giri di seguito sull’ottovolante Explorer e poi altrettanti sul simulatore di volo. Il nostro stomaco ha retto, comunque.
SESTO GIORNO
Rinunciamo a malincuore al Seal Safari in programma, perché camminare scalzi nell’acqua tra le foche con il freddo e la pioggia, con mio figlio che già tossisce, non ci pare un’idea geniale. Ci dirigiamo quindi a nord verso Hvide Sande (“sabbie bianche”) percorrendo la Holmsland Klit, una stretta lingua di sabbia e dune lunga circa 35 km. Ci chiudiamo in un ristorante per il pranzo: prendo due smørrebrød (pane nero imburrato), uno con aringa affumicata e curry, e uno con polpette e cavolo rosso. Buonissimi, stranamente.
Quando usciamo, a sorpresa è uscito il sole, così raggiungiamo un’ampia spiaggia deserta con alle spalle dune di sabbia bianca. Il mare è minaccioso. C’è anche una pala eolica, che vista da sotto è veramente imponente (e affascinante, dal mio punto di vista, anche perché gira senza emettere alcun rumore).
La nostra tappa successiva è il Lyngvig Fyr, un faro molto suggestivo, che raggiungiamo camminando su uno stretto viottolo tra le dune ricoperte di bassa vegetazione.
Arriviamo infine a Ringkøbing, cittadina deserta con una bella passeggiata lungo il mare e il porticciolo. Cominciamo a chiederci dove siano tutti i danesi, visto che nei paesi non si vede mai anima viva.
SETTIMO GIORNO
Finalmente oggi, dopo un breve inizio sotto la pioggia, abbiamo sole tutto il giorno (che poi proseguirà quasi senza interruzioni per il resto del viaggio). Prima tappa Aalborg, dove passeggiamo sul nuovo lungomare (una zona riqualificata da una pletora di architetti) e nel vivace centro.
Torniamo poi nella natura al Rubjerg Knude Fyr, un faro non più utilizzato perché è ormai quasi sepolto dalla sabbia a causa dello spostamento delle dune. Si può comunque salire per vedere il panorama. E si può salire faticosamente in cima alle alte dune di sabbia bianca e poi buttarsi giù di corsa o rotolando, occasione che mio figlio ovviamente non si lascia sfuggire. Troverò sabbia in casa ancora per anni.
Finiamo la giornata a Skagen, località sul mare prediletta dai danesi per la villeggiatura. Qui c’è gente, in effetti. Dopo cena (a base di uno smørrebrød mastodontico con filetto di pesce impanato, filetto di pesce al forno, gamberetti, insalata, cipolle e caviale), andiamo su una spiaggia a Grenen, la punta estrema della Danimarca, per vedere il tramonto, che è verso le 21:30 (in Italia è già buio da oltre un’ora).
OTTAVO GIORNO
Guidiamo verso sud e, dopo una sosta a Sæby, un paesino (naturalmente deserto) sul mare dove tra l’altro vediamo alcuni laboratori artigianali di ceramica notevoli, raggiungiamo Århus. È una città grande, vivace, piena di giovani. Particolare l’installazione Your Rainbow Panorama sulla cima dell’ARoS Art Museum, una galleria circolare da cui si può ammirare il panorama a 360° attraverso vetri colorati.
Nel pomeriggio prendiamo il traghetto che in un’ora e un quarto ci riporta sull’isola di Sjælland, quella principale. Raggiungiamo Roskilde, dove vediamo la cattedrale e facciamo un giro per il centro, incrociando al massimo un paio di persone. A cena, su consiglio del ragazzo della reception dell’ostello («Non ve ne pentirete!»), assaggiamo il piatto nazionale, lo stegt flæsk: fette spessissime di bacon croccanti al punto da essere dure. Una è passabile, due cominciano a essere nauseanti, tre sono una sfida da man vs food. Nel piatto te ne mettono una decina. Comunque, una volta nella vita si può assaggiare.
NONO GIORNO
La mattina, a Roskilde visitiamo il Museo delle navi vichinghe, dove ci sono i resti di 5 imbarcazioni originali e le rispettive ricostruzioni, in mare.
Proseguiamo per Hillerød, dove entriamo nel Frederiksborg Slot, grande castello in cui meritano soprattutto la Cappella, la Sala Grande e i giardini esterni (che noi vediamo solo da una finestra perché piove).
Proseguiamo per Helsingør, famosa per il Kronborg Slot, il castello di Amleto. C’è anche la tomba di Amleto, perché i danesi, a forza di sentirsi chiedere dove fosse sepolto, hanno deciso che avrebbero fatto più in fretta a dire «là» anziché spiegare ogni volta che si tratta di un personaggio nato dalla fantasia di uno scrittore… Su un molo lì vicino c’è anche un “Sirenetto” in acciaio lucido, risposta della città alla “Sirenetta” di Copenhagen. Mangiamo un paio di smørrebrød a un chiosco, facciamo un giro nel bel centro della città e poi prendiamo il traghetto che in un quarto d’ora ci porta in Svezia, a Helsingborg, che percorriamo in lungo e in largo.
DECIMO GIORNO
Colazione pantagruelica in hotel: oltre ai soliti bacon, uova ecc., ci sono polpette e aringa affumicata, e la possibilità di farsi i waffle da soli. Con la pancia piena, ci spostiamo a Malmö. È una grande città che merita di essere visitata. Tra l’altro capitiamo quando c’è un festival della musica, quindi è piena di gente, giostre, concerti, bancarelle. Mangiamo street food (io mi delizio con un sillamacka, un ottimo filetto di aringa impanato con salsa all’aneto). Vediamo la piazza Stortorget e la graziosa piazzetta Lilla Torg, zeppa di tavoli dei ristoranti.
Andando verso il campeggio dove abbiamo prenotato un fantastico bungalow, vediamo il Turning Torso, l’alto grattacielo “attorcigliato” disegnato da Calatrava, e l’Emporia, un edificio stranissimo che ospita un centro commerciale enorme. Saliamo sul tetto, da cui si gode un bel panorama.
Lungo il mare c’è un terrapieno lunghissimo con pista ciclabile e stradina per correre: è pieno di gente che si allena, poi si sveste, si butta in mare, si avvolge con un asciugamano e torna a casa in bici, senza neanche una lieve broncopolmonite. Vichinghi…
ULTIMI GIORNI
Il giorno dopo percorriamo il ponte sull’Øresund e ci trasferiamo a Copenhagen, dove trascorriamo gli ultimi giorni. Amo questa città, in cui convivono elementi antichi e moderni, ogni giorno c’è qualcosa di diverso da fare e da vedere, la zona pedonale è enorme. Da fare assolutamente: un tour in barca sui canali, che permette di vedere la città da un punto di vista diverso, soprattutto la Sirenetta, che lato strada è perennemente avvolta da stormi di giapponesi; una cena a base di aringa a Nyhavn, il porticciolo su cui si affacciano le bellissime case colorate più fotografate della Danimarca; un pomeriggio e serata ai Giardini di Tivoli, un parco con giostre per bambini e, soprattutto, per adulti (tra cui una “calcinculo” altra 80 metri, da brivido), spettacoli e ristoranti; una passeggiata lungo la Strøget, la lunga via pedonale piena di negozi, tra cui anche alcuni notevoli di design e uno enorme di giocattoli, soprattutto Lego; una visita allo zoo, che merita anche solo per l’orso polare e i pinguini (che quasi si possono toccare) nella parte dedicata all’artico. E poi ancora il cambio della guardia ad Amalienborg, il palazzo reale; una visita con degustazione di birra alla Carlsberg, con giro sul carro trainato da cavalli da tiro; una serata con cena al Papirøen, il regno dello street food; un pranzo al mercato coperto di Torvehallerne; un giro in bici; un po’ di jogging a Kastellet; la salita sulla Rundetårn, la torre circolare senza scalini.
Noi abbiamo anche fatto un giro a Christiania, una comunità a parte che vive secondo leggi proprie (e dove soprattutto c’è lo spinello libero), ma pochi giorni dopo è stata smantellata dalla popolazione, stufa di decenni di disordini legati allo spaccio di stupefacenti.
Riepilogando, la Danimarca si può riassumere in poche righe.
- Il paesaggio è di due tipi: pianure o lievi ondulazioni dove domina il grano e dove le pale eoliche sono onnipresenti; costa sabbiosa con dune più o meno ricoperte di erba, dove sorgono innumerevoli fari (oltre alle pale eoliche).
- I colori predominanti sono il giallo delle casette, l’oro del grano, il verde dei prati e il bianco delle pale eoliche.
- C’è vento, sempre. La pioggia estiva non dura mai più di un’ora.
- Ogni città, di qualunque dimensione, ha un’estesa zona pedonale, ma in giro per i paesini non si incontra quasi nessuno.
- In pratica, l’unico cibo commestibile è lo smørrebrød. Il piatto nazionale è impegnativo.
- Se non hai una bici, non sei nessuno.
- Ci sono parchi tematici (giostre, insomma), musei e castelli ovunque.
Per chi ama la natura, le cittadine raccolte, i castelli ma anche l’architettura moderna, le giostre, i musei, le passeggiate in centro, le zone non troppo affollate di turisti, la Danimarca può essere un viaggio adatto. E Copenhagen è sicuramente tra le capitali da visitare.