In Un indovino mi disse Tiziano Terzani narra un anno di viaggi senza prendere l’aereo. Era il 1976 quando a Hong Kong un indovino cinese gli predisse che nel 1993 avrebbe corso grossi pericoli di morte. Per “scansarli” avrebbe dovuto trascorrere l’anno senza prendere aerei. Terzani al momento sorrise ma, 17 anni dopo, ricordando l’ammonimento dell’indovino, non salì su nessun aereo: «Fui costretto a ristudiare la geografia e i mezzi di trasporto che mi consentirono di viaggiare e svolgere il mio lavoro di inviato per il settimanale tedesco “Der Spiegel”». Muoversi più letalmente gli diede modo, di nuovo, di capire quanto fosse ancora vasto il mondo. Forse inconsapevolmente fu il precursore dello slow travel, che, da fenomeno libresco e teorico, si sta trasformando in un vero movimento, raccogliendo i viaggiatori che amano muoversi con lentezza, senza limiti di tempo, di mete, di prenotazioni.
Che il viaggio fosse sinonimo di vagabondaggio, di nomadismo è dimostrato dalla categoria dei grandi scrittori a partire da Goethe con il suo Viaggio in Italia scritto all’inizio dell’Ottocento, per passare al Novecento con Freya Stark, grande viaggiatrice solitaria in Medio Oriente e autrice del libro Le porte dell’Arabia. A loro seguirono Robert Byron con il suo famoso La via per l’Oxiana e Bruce Chatwin con i suoi viaggi in Patagonia e in Australia che raccontò in Le Vie dei Canti e In Patagonia. Partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che sfugge e si ricompone mentre lo si attraversa. Per loro la scrittura è stata una conseguenza naturale del viaggio, per raccontare e spalancare la finestra su mondi nuovi.
Oggi c’è un cambio di paradigma: da scrittori che viaggiano a viaggiatori che scrivono libri che non sono guide turistiche, ma testimonianze del viaggio come cambiamento. Eddy Cattaneo, autore di Mondo via terra, Federico Pace con Senza volo, Carlo Taglia e il suo La fabbrica del viaggio e Darinka Montico autrice di Walk about Italia parlano attraverso racconti e diari dei loro viaggi lenti senza aereo.
Alcune compagnie aeree stanno provando a trasferire l’idea del viaggio lento nello spostamento più rapido che conosciamo e propongono stop over flight, offerte che permettono di fare una sosta lungo il tragitto. L’esatto contrario di quelle che lanciano prezzi super competitivi per vere e proprie maratone round the world. Questo perché l’aereo restringe l’orizzonte, crea spazi vuoti che si possono riempire solo con una sosta e con la lentezza, che è la chiave per riscoprire quanto è vasto e variegato il mondo.
Alla tribù del viaggio lento piace superare gli ostacoli che si trovano sul cammino: oceani, montagne, fiumi e frontiere. Ama viaggiare a piedi, in bici, in treno o via mare in cargo. Niente può eguagliare la sensazione di avanzare verso un orizzonte in perenne allontanamento sulla curva della terra o del mare e osservare la metamorfosi dei paesaggi. Il treno rimane il mezzo più poetico. I treni tengono vicine le persone, le spingono a comunicare, ad ascoltare, a guardarsi negli occhi. Il bus è l’ideale per mescolarsi e parlare con la gente del luogo e conoscere le culture locali. La nave concede spazio per fermare il tempo, riflettere, ricordare, pensare. Camminare e pedalare sono esperienze intime, trasmettono un senso di libertà, rallentano i ritmi della vita e accelerano quelli del cuore, alleggeriscono i pensieri e ampliano gli orizzonti.
La lentezza fa unire i fotogrammi del viaggio e lo fa diventare unico, non riproducibile. Si procede, come nella vita, in una mescolanza di programmi e di casualità, mete prefissate e impreviste, digressioni che portano altrove. Il viaggio lento non è definito né preconfezionato, contamina le persone. Invita a fare amicizia, a rompere il muro dilatando i confini. Ogni viaggio può contenere un’infinità di viaggi che nascono da quello che si vede e dalla conoscenza delle persone che si incontrano.
Viviamo nell’era degli schermi (telefoni, computer, televisori), ma sono finestre attraverso le quali osserviamo come spettatori e non come attori. Da troppo tempo siamo abituati all’iperattivismo tecnologico, a essere veloci in tutto, sommersi dalle “felicità condivise” sui social, dai messaggi trasmessi ai nostri follower, dall’uso compulsivo delle immagini sparse nell’oceano del web. Davanti ai nostri schermi sublimiamo la voglia di partire cliccando sull’ennesimo fotogramma di un viaggio altrui. Non ci accorgiamo che il nostro viaggio è lì a portata di mano e non dobbiamo attendere l’indovino che ci ammonisce, basta alzare le vele e farci portare dal vento.