Lultima volta che ero stata a Torino ero al primo anno di liceo ed era primavera. La meta della gita scolastica era una soltanto, facilmente intuibile: il Museo Egizio. Era la terza volta nella mia carriera di studente che mi raccontavano il viaggio del cervello attraverso le narici per preparare i morti alla mummificazione, così avevo iniziato a odiare gli Egizi. Quel giorno di primavera anno 2000 d.C., a Torino faceva un gran caldo e dopo due ore tra i corridoi polverosi mi ritrovai assetata più delle mummie che affollavano ogni sala, e che con la loro bocca socchiusa e la pelle incartapecorita sembravano divertite dalla mia vicinanza al loro destino. La gita non mi aiutò a cambiare idea sugli Egizi.

A dicembre 2019 sono tornata a Torino e la mia gola ricordava benissimo quella sete, per questo ho escluso il Museo Egizio dai miei programmi, raccontandomi che le notizie del rinnovamento della storica istituzione non potevano che essere una trappola di Tutankhamon. Inoltre, una torinese mi avevano suggerito di leggere la sua guida online sulla città, fatta di 100 consigli di cose da fare, vedere e provare, quindi le 99 alternative mi sembravano ragione sufficiente per evitare di bissare la visita dell’unico luogo di Torino già calpestato in precedenza con risultati scarsini.

Sabauda, dicono di Torino, e non ho mai capito che diamine significasse, ma credo abbia a che fare con la prevalenza della geometria spigolosa e con le piazze che sembrano più grandi ogni volta che le attraversi.
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La Mole Antonelliana, con il suo Museo Nazionale del Cinema, era in cima alla mia lista, così sono uscita dal mio alberghetto lungo Dora, a due passi dal defunto Turin Eye, e sono arrivata all’ottagono di piazza della Repubblica e da lì a piazza Castello. Sabauda, dicono di Torino, e non ho mai capito che diamine significasse, ma credo abbia a che fare con la prevalenza della geometria spigolosa e con le piazze che sembrano più grandi ogni volta che le attraversi. Alla deriva nell’oceano di piazza Castello, ho fatto dei banchetti del mercatino natalizio la mia ancora di salvezza. Offrivano una varietà di Cuneesi al rum tra cui era impossibile scegliere: alla decima variante avrei scordato la prima, quindi l’unica soluzione è stata un acquisto misto di un paio per gusto. Tra il profumo morbido di cioccolata e l’ebbrezza da vin brulé o da bombardino, ho optato per un antitorinese bretzel liscio. Impegnata a salvare il mio pasto dagli urti dei passanti che affollavano i porticati, ho camminato a caso, così resta un mistero il percorso che mi ha portata da piazza San Carlo alla Mole.

Se volete entrare alla Mole Antonelliana nel fine settimana e non apprezzate le code, prenotatevi l’ingresso tramite il sito. Altrimenti finite come me, a scartare la vostra prima scelta, con la carta del bretzel in una mano e Google Maps nell’altra, in cerca della tappa successiva. E non aspettatevi distese da cui scattare comodamente fotografie, perché la Mole è circondata su tutti i lati da palazzi (trovate uno scorcio all’angolo tra via Gaudenzio e via Sant’Ottavio). Comunque, se decideste di sfidare la sorte e falliste, potreste raggiungere piazza Vittorio Veneto e, da lì, costeggiare il Po percorrendo i Murazzi: l’acqua che sembra immobile e la fatica dei canottieri hanno un inspiegabile effetto rilassante e, superato ponte Umberto, ci si immerge nel verde del parco del Valentino, che porta stupore, dopo chilometri in tonalità grigie di viali, palazzi e porticati.

Superato Ponte Umberto, ci si immerge nel verde del Parco del Valentino che porta stupore, dopo chilometri in tonalità grige di viali, palazzi e porticati.

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Seduta nel giardino roccioso, ho valutato come continuare il mio pellegrinaggio torinese. Ho optato per il borgo medievale per questioni di prossimità, ma ho trovato un’atmosfera adatta più che altro ai bambini. Avrei potuto rifarmi con una confezione di gianduiotti tagliati a mano in vendita nelle botteghe in grossolano stile “anno 1000”, ma ho resistito per amor di Cuneesi e ho seguito la direzione che prendevano i piedi stanchi. Poco prima dell’albergo, su via Borgo Dora, mi sono fermata a guardare l’orologio dell’ex fabbrica di bombe che dal 2013 ospita la scuola di narrazione più famosa d’Italia, la Holden: è per lei che sono tornata a Torino e ci tornerò almeno otto volte nel corso del 2020, chissà se basteranno per esaurire i 100 consigli di cose da fare, vedere e provare e se Tutankhamon riuscirà a disidratarmi di nuovo.