Proseguendo sempre più verso est, visito la bellissima Bayeux col famoso arazzo che racconta le gesta di Guglielmo il Conquistatore e con il cimitero del Commowealth, dove riposano giovani inglesi e canadesi. Poi decido di spostarmi verso il mare, ad Arromanches, che oggi è a tutti gli effetti un paesino balneare, con i suoi negozi e locali pieni di gente.
Arrivo alla balconata che si affaccia su Gold beach e, tra bambini che giocano con la sabbia e turisti che si godono un bellissimo sole, potrebbe risultare molto difficile immaginare ciò che accadde qui settant’anni fa. Invece dall’acqua affiorano i Mulberry. Sono blocchi di acciaio e cemento, resti di uno dei due porti costruiti dagli alleati per scaricare mezzi e materiali utili all’invasione. Sembrano giganteschi Lego spiaggiati, ma sono un monumento permanente in ricordo dello sbarco. Un surrogato di scogli, dimora di granchi e alghe. Decido di scendere in spiaggia e avvicinarmi al blocco che vedo davanti a me. E’ enorme! E pensare che il giorno dello sbarco ne furono trasportati a centinaia. Sono i resti di una fantastica opera di ingegneria e mi ricordano che il D-day non fu solo un dispiegamento di armi e forza, ma anche di ingegno. Visito il grande museo che si affaccia sulla spiaggia e racconta nei dettagli ogni aspetto dell’operazione di assemblaggio.
Il giorno seguente mi spingo fino a raggiungere Juno beach, a Courseulles-sur-Mer, dove sbarcarono le truppe canadesi. Ad accogliermi il bellissimo museo, in cui sono giovani studenti che tengono viva la memoria dello sbarco facendo da guida nelle modernissime sale. Di fronte al museo, superate le dune e i resti dei bunker tedeschi, si apre la spiaggia. Mi accoglie un forte odore di mare, perché durante la notte la marea ha portato a riva una grande quantità di alghe. Il cielo è grigio e il vento soffia forte. Risuonano in me i versi della poesia di Verlaine, usata dagli alleati come codice per allertare la resistenza francese dell’imminenza dello sbarco: “blessent mon coeur d’une langueur monotone”, “mi feriscono il cuore con languore monotono”.
Spostandomi sempre più a est, raggiungo l’ultima meta: Sword beach, la seconda delle spiagge assegnate alle truppe inglesi. Da questo punto avrebbero dovuto proseguire verso il Pegasus Bridge, più a sud, per unirsi alle truppe aviotrasportate atterrate la notte precedente con gli alianti e che li attendevano dopo la conquista del ponte. Più tardi vedrò anche quello, ma ora mi godo la passeggiata lungo il percorso pedonale di Colleville-Montgomery, un paese dedicato al generale Monty. Mi trovo a camminare in un museo all’aperto con il mare e la spiaggia alla mia sinistra. Pochissima gente, forse perché oggi ha piovuto e tira un fresco vento da nord. L’aria però è pulita. In lontananza riesco addirittura a vedere Brighton… la costa inglese! A destra, alternate a moderne villette, vecchie casette che i cartelli commemorativi mi dicono essere state testimoni dello sbarco.
Cammino, respiro quest’aria salubre di mare, ed ecco apparire la statua di un uomo: uniforme scozzese completa di gonnellino e cornamusa, ampie spalle rivolte al mare, basco in testa, nell’atto di avanzare suonando. Cammina fiero Bill Milling! Avanza, portando con sé il suono della libertà che ancora riecheggia in questa terra.
– Fotografie di Vincenzo Dangelo –