Era il giorno di Natale. Al termine del pranzo, durante la rituale distribuzione dei regali, mi ritrovai in mano una busta chiusa. All’interno c’era solo un biglietto con scritto “NEW YORK – Papà”, che guardai per qualche istante senza afferrarne il significato. Mio padre fu secco: «Ti regalo un biglietto aereo per New York». E io per tutta risposta cominciai a piangere, perché il fidanzato dell’epoca mi aveva appena lasciata e io non sapevo con chi andare a New York, che, peraltro, ero certa non mi sarebbe piaciuta.
Arrivai nella Grande Mela ad aprile con un’amica, a differenza di me entusiasta per il nostro viaggio, con il programma di rimanerci una decina di giorni. Atterrate all’aeroporto di Newark, arrivammo alla Penn Station di Manhattan in treno. All’uscita l’aria frizzante mi aveva provocato un brivido e il sole infastidiva i miei occhi stanchi. Di fronte a me un grattacielo immenso toglieva ogni altra visuale, sulla sinistra una scritta poco lontana annunciava Madison Square Garden, e a destra vidi una lunga via piena di auto in coda, fiancheggiata da palazzi altissimi. Alzai la testa e guardai la punta del grattacielo che avevo davanti: la pelle d’oca di quel momento raccontava di quanto fossi un piccolo puntino nel mondo, ma preannunciava anche che New York mi avrebbe conquistata.
Il tour per Manhattan iniziò il giorno seguente di buon mattino, con 40 minuti di contemplazione a testa in su. Poi arrivammo a Central Park: in una mattinata soleggiata di inizio primavera, in lontananza i chiassosi rumori del centro, avevamo trovato l’oasi nel cuore di Manhattan. Il primo giorno non poteva mancare anche una visita a Time Square, l’“incrocio del mondo”. La confusione è presente 24 ore su 24, ma niente vale un pranzo seduti sui gradini della piazza mangiando un hot dog e guardando la gente passare.
I giorni seguenti sono volati.
Con la presunzione di non avere problemi nel trovare strade e punti di interesse, io e la mia amica siamo riuscite a perderci diverse volte, finché ci siamo rese conto della logica delle Street e delle Avenue: le strade “orizzontali” sono le Street e si contano dal basso (sud) verso l’alto (nord), mentre i grandi viali “verticali” sono le Avenue e si contano da destra (est) verso sinistra (ovest). Orientarsi a New York seguendo questo criterio è davvero semplice.
Siamo state al MoMA per vedere Les demoiselles d’Avignon, tappa a cui non avrei mai potuto rinunciare da grande ammiratrice di Picasso. Ma il MoMA resta a mio parere una tappa obbligata per chiunque, appassionati d’arte o meno. Magari è proprio lì che uno scopre che l’arte fa per lui.
Attratte dalle grandi altezze, siamo state al Top of the Rock, la terrazza del Rockefeller Center, e su quella dell’Empire State Building. In cima mi sentivo ondeggiare, ubriaca di altezza e di incredulità: lo spettacolo sottostante è stato uno dei migliori di tutto il viaggio. Tornata in strada, mi ci sono voluti 5 minuti buoni per riprendermi.
I lavori di costruzione del Memorial 9/11 di Ground Zero, ormai simbolo del World Trade Center, erano ancora in corso. Dopo la lunga coda all’ingresso mi trovai di fronte a due voragini nere, con l’acqua che vi scorre costantemente e di cui non si vede il fondo. Qui ho provato un tipo diverso di brivido che a parole non so raccontare.
La domenica è stato il turno di una visita nel Bronx e ad Harlem. Giorno perfetto, perché Harlem si anima mettendo in mostra quella parte della vita newyorkese fatta di canti gospel in bellissime chiese e di profumi di barbecue sparsi nei piccoli giardini delle abitazioni. Nel pomeriggio, invece, abbiamo fatto una visita in battello alla Statua della Libertà. La vecchia signora con il braccio destro sempre in alto ha a disposizione quotidianamente un panorama affascinante: lo skyline che si ammira da Liberty Island è notevole.
In 10 giorni sono riuscita non solo a spuntare la lista delle attrazioni turistiche ma anche a vivere la città, andando nei luoghi meno noti e scoprendo una vita notturna straordinaria. Prima della partenza avevo prenotato una serata condivisa con persone di etnie e nazionalità diverse; il punto di ritrovo era un locale alla moda per un drink dopo cena, e da lì ci siamo spostati in un secondo locale super affollato, per terminare la serata in una discoteca al 64° piano di un grattacielo in Time Square.
Ero partita con l’idea che New York fosse troppo caotica per me, che non mi avrebbe lasciato nulla, amante di luoghi dove la vita scorre lenta e con tranquillità. Mi sono dovuta ricredere. New York mi ha entusiasmata, ammaliata e viziata. Ci sono giorni in cui ne sento la mancanza a tal punto che chiudo gli occhi e ripenso a ciò che mi ha fatto vivere, ai regali che solo New York sa fare.