«Dove vorresti essere in questo momento?». Ovunque ma non qui è la mia risposta istintiva.
È passato quasi un anno dalle prime limitazioni e, per quanto si vada in cerca di notizie sul futuro, nulla ci fa pensare che potremo tornare presto alla normalità. Abbiamo provato diverse strategie da viaggiatori per rendere sopportabili le limitazioni, ma l’unica che sembra funzionare davvero è quella che dà per scontato che non potranno durare in eterno. Siamo convinti che ci sarà una fine a tutto questo. Confini reali, tornati a essere muri oltre che linee continue sulle carte geografiche, che si sgonfieranno di nuovo; divieti di spostamento che saranno ricacciati nel passato da cui sembrano evasi. Per alcuni è fiducia nella scienza e per altri il risultato di confronti con il passato: la Spagnola aveva imposto il distanziamento e poi tutto era tornato (forse inspiegabilmente) alla normalità; nel Settecento gli spostamenti venivano sospesi alle prive voci di contagio, ma il fenomeno del Gran Tour non si è arrestato nel XIX secolo.
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A pensarci bene, “ovunque ma non qui” è una risposta assurda. Perché sono in Italia e sento il desiderio di curiosare fuori i confini nazionali, eppure, se mi penso altrove, non escludo che sentirei il desiderio di tornare in Italia anche solo per sentirmi più al sicuro. Certa, per lo meno, di capire che cosa possa o non possa fare. Stare a casa mi risulta più rassicurante che essere in giro per il mondo, ma lamento il guinzaglio cortissimo delle zone gialle-arancioni-rosse e l’impossibilità di scegliere liberamente quando e dove andare. Ovunque non è più tanto allettante. E, se provo a immaginare, con estremo rispetto e altrettanta fatica, come si possa sentire chi è stato messo in ginocchio dalla pandemia, scopro che la sua impossibilità di pensare a un altrove di speranza rende la mia insofferenza quanto mai trascurabile.
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Il qui, alla fine, è solo un fattore di tempo. È una condizione che sta durando da un anno, un presente che non dà segni di voler cedere il passo. Ovunque ma non qui è la nostalgia delle possibilità che la pandemia, nella sua dimensione globale, sembra aver cancellato da tutte le carte geografiche. Una nostalgia che, a differenza di questo presente che appare immutabile, cresce con il passare dei giorni e richiede attenzione: il viaggio non è solo desiderio, il viaggio è necessità.