A Fontanellato, in provincia di Parma, si trova il Labirinto della Masone. A forma di stella, è il più grande labirinto del mondo ed è realizzato in piante di bambù, cioè tu cammini attraversando il tunnel che le piante di bambù, crescendo fino a inchinarsi dai due lati, realizzano sopra alla tua testa. In qualche tratto le piante sono più distanti, oppure sono state potate fino a terra perché in questo modo crescono più forti e rigogliose nella stagione successiva, e allora ricompare il cielo. A febbraio, con l’aria frizzante, puoi approfittare di una sosta al sole per riassorbire un po’ di calore. A febbraio, in giorno feriale, cammini in un’oasi di pace.
Il Labirinto è solo una porzione della Fondazione creata dal singolare Franco Maria Ricci, che ospita anche un museo, una biblioteca e un servizio di ristoro di ottimo gusto pur volendosi limitare a un aperitivo. I fortunati che riescono a raggiungere il centro del labirinto possono curiosare nella vita di Ricci attraverso un video di una ventina di minuti, scoprendo per esempio che il Bodoni, font di scrittura, deve il nome a un incisore, tipografo e stampatore italiano di fine ’700, e che l’editoria dello Stivale comprende anche un parmense (lo stesso Franco Maria Ricci), cresciuto con l’idea della geologia e divenuto cercatore di petrolio prima di cadere vittima del fascino della Bellezza. La scontata e prevedibile linearità della vita, insomma.
Non so se sia magnanimità o pragmatismo quello che spinge gli addetti della biglietteria a consegnarti un adesivo da attaccarti addosso, con indicato il numero di telefono da contattare in caso di attacchi di panico tra le foglie di bambù. Qualche riferimento numerico e qualche mappa depositati lungo il labirinto dovrebbero consentire di districarsi da sé, per lo meno se non si è del tutto perso il senno. Forse la loro è solo esperienza: sanno che il labirinto è più o meno facile a seconda della persona che lo percorre, del momento del giorno, dell’anno o della vita. L’impegno è secondario, cioè non è faccenda da esperti di orienteering, perché l’obiettivo non è raggiungere la cappella sconsacrata che occupa la piramide al centro del labirinto nel minor tempo possibile (per quanta curiosità si abbia di arrivarci), ma fare pratica di attraversamento del labirinto.
Il fatto strabiliante è che ci si può scoprire del tutto incapaci di uscire da labirinti segnalatissimi mettendoci il massimo di impegno (vedi alla voce “Le mille volte che vidi la camera della regina nella Reggia di Venaria”), mentre si può arrivare all’uscita del labirinto più grande del mondo grazie alla leggerezza della casualità (o del fato, chi lo sa?). Il segreto del successo pare stia tutto nella capacità di entusiasmarsi per la sensazione frizzantina che il desiderio di riuscire a farcela produce quando si mischia con la curiosità di sapere come sarebbe perdersi davvero. Può essere la rivincita di chi si crede da sempre privo di senso dell’orientamento (o ha creduto di perderlo) e la nemesi dei maestri della navigazione astronomica. È un buon modo per smetterla di voler sapere dove si sta andando, per iniziare a gustarsi i passi che si accumulano l’uno sull’altro e a fidarsi di loro più che delle mappe.
L’esperienza merita anche in coppia, ma devi fare attenzione alla scelta: porta con te una persona con la quale l’idea di perderti appare una gioia, con la quale puoi stringere segretamente il patto di non chiamare mai il numero che vi siete appiccicati addosso. Il cibo non manca, al massimo diventerete una coppia di panda.