La Stazione Centrale di Milano a fine gennaio 2022 è viva ma non affollata. Il freddo pungente ne fa apprezzare le infinte combinazioni di scale, soprattutto nella loro versione immobile che obbliga i muscoli a lavorare. Ci sono così tante indicazioni e cartelli, così tanti colori, che il loro effetto si annulla e tu rischi di perderti, come inseguissi il Bianconiglio in un quadro di Escher. La Stazione Centrale di Milano è un inganno: appesantita dalla storia, monumentale, eppure simbolo di una moderna metropoli; imponente ed evidente, eppure ricca di lati nascosti.
The world of Banksy
La Galleria dei Mosaici è la grande sala al primo piano della Stazione Centrale, l’anticamera dei binari. In pochi guardano in alto in cerca dei mosaici annunciati dal nome, in genere lo sguardo si ferma a mezza altezza e percorre i tabelloni degli orari di partenza e di arrivo, perché gli annunci suonano ovattati e lo sguardo cerca un appiglio più solido.
Photo by Laura Antoniolli
I mosaici saranno anche un lato nascosto in bella vista, ma il vero segreto qui sono gli spazi che, fino al 27 febbraio, ospiteranno la mostra immersiva nel mondo di Banksy, The world of Banksy. Già trovarli non è scontato, perché bisogna decidere di seguire la locandina della mostra escludendo dal proprio campo visivo ogni altro stimolo, altrimenti ci si infila per errore nei bar della stazione o nei negozi per lo shopping e si finisce inghiottiti nei sotterranei della metropolitana.
La mostra di Banksy invece sale in alto, è fatta di due piani che inseguono il segreto dell’artista britannico portandoti dall’Inghilterra a New York, dal confine israelo-palestinese a Parigi. Le pareti scrostate e l’assenza di climatizzazione ti fanno sentire per strada, sulle tracce di un nome che tutti conoscono ma a cui nessuno, pare, sappia associare un volto. La strada è fatta di immagini che sembrano visioni, lanciano provocazioni e catturano con le loro forme quotidiane: una bambina, un palloncino, due poliziotti, un manifestante, un mazzo di fiori… Niente è solo quello che appare.
Il Memoriale della Shoah
Photo by Laura Antoniolli
La Stazione Centrale di Milano è un inganno perché si impone con la sua presenza massiccia e ti illude di conoscerla. In genere la si ricorda come un macigno arzigogolato affacciato su un grande spiazzo; pochi sanno raccontarne i dettagli, i gargoyle del porticato o l’accesso ormai dismesso dedicato al trasporto merci.
Se quel macigno lo si guarda in faccia e lo si costeggia tenendolo alla propria sinistra, si incontra un passaggio pedonale regolato da semafori. Il verde dura poco, quindi avere il tempo di notare l’edificio bianco alla propria destra, con colonnato e la scritta POSTE, è quasi inevitabile. Superato il passaggio pedonale compare l’accesso al Memoriale della Shoah. Non so se sia così ogni giorno, ma il 27 gennaio è custodito da una coppia di militari a fianco di una jeep mimetica, che nel pieno della città ha l’effetto di un evidenziatore glitterato.
Photo by Laura Antoniolli
Il Memoriale è una parte dismessa del piano terra della Stazione Centrale: nel 1931, quando venne inaugurato lo scalo ferroviario, il meccanismo che trasferiva i vagoni carichi di merci ai binari del primo piano era un’innovazione che consentiva di gestire un’attività “poco nobile” lontano dalla vista dei passeggeri. Era il personale delle poste a occuparsene, facendo la spola dall’edificio bianco, con colonnato e la scritta POSTE, che riappare alla memoria con la vaghezza di un déjà vu. L’innovazione del trasporto merci finì per agevolare le persecuzioni nazifasciste, perché in alternanza a pacchi e buste iniziarono a essere caricati nei vagoni ebrei e antifascisti da spedire verso i campi di sterminio, nascosti alla vista dei più.
L’accesso al Memoriale è gratuito. La visita con una guida è consigliata per riuscire a leggere le scelte architettoniche e artistiche che ne hanno guidato la realizzazione: i materiali, le parole, le luci, le date sul marciapiedi del binario, il colore rosso di 27 nomi sui 774 proiettati nel buio, la biblioteca che si sta costruendo. Perché anche qui, come in tutta la Stazione Centrale, le storie sono nascoste dietro agli elementi più esposti.