Siamo circa a metà del viaggio in India di Valentina, se hai perso la prima parte, puoi leggerla qui.
Agra e il Forte Rosso
Dopo Delhi, ci spostiamo ad Agra, attraversando il paesaggio arido dell’Uttar Pradesh. L’autostrada è… particolare: è accessibile in trattore, bicicletta, motorino, bestia da soma, tuk tuk, auto contromano… Ah, e ogni tanto c’è un pedone che attraversa con tutta calma.
Ad Agra fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa, così ci infiliamo in un negozietto (rigorosamente climatizzato) e ne approfittiamo per comprare qualche souvenir (vorrai mica andare in India e non comprare un coloratissimo sari che non indosserai mai!) e per farci fare un mehndi, un disegno sulle mani con l’henné.
Nel tardo pomeriggio andiamo a visitare il Forte Rosso, con tanto di fossato e ponte levatoio. La stradina interna di accesso all’edificio, con scoiattoli che corrono qua e là, produce un rimbombo molto pronunciato quando la si calpesta: in questo modo i soldati venivano tempestivamente avvertiti dell’arrivo del sovrano o dei nemici. Il forte è in parte di pietra rossa e in parte di marmo bianco: magnifico. Dalle finestre del porticato posteriore si vede il Taj-Mahal; per un gioco particolare di prospettiva si crea un’illusione ottica per cui, allontanandosi dal porticato, il Taj-Mahal si vede più grande.
Il Taj-Mahal
La mattina dopo, alle 5, siamo pronti per il momento più atteso del nostro viaggio: la visita al Taj-Mahal. Non ringrazieremo mai abbastanza la nostra guida per averci regalato lo spettacolo di questo monumento grandioso all’alba, con una luce perfetta e neanche una persona in giro. E mentre scattiamo fotografie a raffica, cercando di immortalare questo splendore da ogni angolazione, Gaurav ci racconta con passione la commovente storia d’amore che sta dietro alla costruzione del monumento (forse un po’ romanzata, ma a noi è piaciuta) e ci spiega la perfetta simmetria di tutti gli elementi del Taj-Mahal (tranne uno, ma lo scoprirete quando ci andrete, non vi rovino la sorpresa!).
Per entrare non serve andare scalzi, basta indossare dei sovrascarpe. Non si possono scattare fotografie e nemmeno puntare una torcia elettrica contro le pareti per vedere la corniola arancione utilizzata per gli intarsi che “prende fuoco”. Ma la nostra guida è di Agra e conosce il guardiano, che non solo ci lascia vedere la corniola illuminata, ma ci presta addirittura la torcia!
Rimaniamo estasiati godendoci il Taj-Mahal fino alle 9, poi andiamo in un laboratorio dove lavorano il marmo con la stessa tecnica utilizzata per il monumento. Pare che questi artigiani siano lontani discendenti di coloro che lavorarono al Taj-Mahal e che la tecnica venga tramandata di generazione in generazione. Probabilmente è un’esagerazione per turisti, però ha il suo fascino.
Jaipur e l’Amber Fort
La mattina dopo partiamo per il Rajashtan. Lungo la strada vediamo Fatehpur Sikri, “la città fantasma”, e facciamo una sosta ad Abhaneri, dove rimaniamo colpiti dall’ampio pozzo a gradini e dallo stuolo di bambini che scendono dal loro “scuolabus” (un rimorchio trainato da un trattore guidato da un ragazzino quasi loro coetaneo) e ci corrono incontro.
Jaipur è tutta di pietra rosa, come il particolarissimo Palazzo dei Venti, ma l’attrazione principale è il forte di Amber. Dopo una coda resa eterna dalle decine di venditori di ombrellini, elefantini, borse, ci “accomodiamo” su uno scomodo elefante per salire al forte. Entriamo dall’ingresso nobile e, come accadeva all’imperatore, veniamo accolti dalla musica. L’edificio è sorprendente: all’interno delle mura tipiche di un forte si nasconde un sontuoso e inaspettato palazzo di marmo. Torniamo al pullman in jeep, inseguiti da venditori che hanno già confezionato appositi album con le fotografie di tutti noi in elefante.
Per riprenderci un po’ dal caldo, ci rintaniamo in un laboratorio (con il solito microclima polare) per assistere alla lavorazione dei tappeti, prima di proseguire per il Galta-Ji, “il tempio delle scimmie”. Secondo gli indiani, i turisti sono attirati da questo luogo abbandonato solo per la colonia di scimmie che vi abita, così stanno trascurando l’edificio, che in realtà meriterebbe attenzione per la sua originalità e per la cura dei dettagli. Comunque di scimmie ce ne sono tantissime e fanno il bagno nelle vasche piene d’acqua del Gange (così vuole la leggenda, anche se il fiume è a moltissimi chilometri di distanza).
Facciamo ancora un giro al mercato di Jaipur e una corsa in tuk tuk (che poi non è altro che un’ape Piaggio): siamo in otto su un tuk tuk da tre, ormai ci sentiamo un po’ indiani. E, nonostante il nostro stomaco gioisca per il ritorno ai cibi “delicati” di casa, ci dispiace lasciare l’India, questo paese così lontano dalla nostra mentalità e allo stesso tempo così attraente.
Non è possibile raccontare l’India, bisogna andarci e scoprire qualcuna delle sue mille sfaccettature.