Se è il viaggiatore l’unità di misura delle distanze, allora esistono una Trieste per pedoni e una Trieste per automobilisti. La prima ha origine in piazza Unità d’Italia e si dilata in semicerchi concentrici fino a che le gambe del viaggiatore resistono, mentre la seconda è fatta da qualche punto sparso nei dintorni, e non necessariamente fuori città.
Sulla mappa gentilmente fornita dall’hotel, la risiera di S. Sabba sembrava a due passi dal faro della Lanterna. Invece le mappe gentilmente offerte da Google segnalavano un’ora di cammino. La scelta del mezzo di trasporto è poco importante: la risiera è inserita nel contesto urbano di Trieste e non consente né richiede un avvicinamento lento, un effetto zoom che si ottiene più facilmente con i ritmi lenti delle gambe. In compenso è bene arrivare pronti per un tuffo nell’acqua gelida della storia. La scelta di abbattere parte delle strutture che costituivano il campo di prigionia e di sterminio nazi-fascista e utilizzare soluzioni architettoniche simboliche non attutisce l’effetto dei racconti storici. L’audioguida e la visita del percorso fotografico-documentario, ospitato in una sala della risiera, rendono fin troppo semplice immaginare come fosse la vita qui.
Con il senno di poi avrei dovuto inserire una pausa tra la risiera e la foiba di Basovizza, cioè preoccuparmi non solo dell’autonomia del serbatoio dell’auto ma anche di quella del serbatoio della resistenza emotiva. Non è tanto il monumento della foiba che produce l’impatto, quanto la lettura dei testi esposti alle spalle del centro documentario. Pensare che un solo verbo custodisca una parte di Storia: infoibare, ossia cancellare vite legate tra loro da una corda sparando al primo della fila perché, cadendo nella grotta carsica, trascini con sé tutti gli altri. La foiba di Basovizza non è nemmeno una foiba vera e propria, cioè non è una grotta ma un pozzo minerario, ma qui conta capire gli eventi e non la geologia.
Magari avrei potuto allungarmi verso il mare, concedermi un po’ di inalazioni saline passeggiando nel parco del castello di Miramare. Arrivando all’orario di apertura si gode dell’assenza di folla, al massimo qualche persona del posto che si concede una corsa lungo mare o una passeggiata con il proprio cane. Poi, appena compaiono le prime auto e i primi pullman, arriva il momento di raggiungere l’ingresso del castello e concedersi una visita, anche un po’ distratta, dei piani accessibili. Tessuti rosso fuoco e legno come si fosse in un veliero si contrappongono all’essenzialità degli arredi anni ’60. Un castello che rimira il mare e che sa di fiaba più che di storia.
La Grotta Gigante, invece, si trova alle spalle della città (in una località che prende il nome proprio dalla grotta), il che la rende comoda ultima tappa prima dell’ingresso in autostrada. Il nome non è certo originale per la grotta turistica con la sala più grande del mondo, ma i 500 scalini di discesa e i 500 di risalita rendono palpabile i suoi quasi 100 metri di altezza. La visita obbligatoriamente guidata e in gruppo ne svela in modo piacevole caratteristiche e storia. La temperatura costante di 11 °C e il ritmo poco sostenuto della camminata consentono di godersi stalattiti e stalagmiti evitando bagni di sudore. All’uscita si riprende contatto con il mondo superficiale sorseggiando l’ultimo caffè triestino e si può scoprire con stupore che completare liste di cose da vedere nelle varie destinazioni rischia di toglierci la scusa per tornare: com’è Trieste vista dalla cima del faro della Vittoria?
[Fotografie di Laura Antoniolli]