Ferrara è pianura, tra il Polesine e il delta del Po, cittadina rossastra che risuona di campanelli di biciclette. C’è chi dice basti un giorno per percorrerla e conoscerla tutta: “Il numero di volte in cui finisci in via delle Volte è il segnale della fine dell’esplorazione” ha dichiarato un compagno di viaggio lo scorso giugno. Eppure lui non era stato con me al MEIS – Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, quindi la sua era forse mancanza di orientamento più che esaurimento di punti di vista.
Che Ferrara sia piccina è vero, soprattutto se si misura la sua dimensione rispetto all’area pedonale del centro storico o si pensa di percorrerne la cinta muraria in bicicletta. Ci vuole sempre poco a esaurire le liste di cose da vedere buttate giù a tavolino: castello Estense, palazzo dei Diamanti, palazzo Schifanoia, via delle Volte, il ghetto ebraico, le mura. La visita si allunga solo se si includono le mostre ospitate dal castello o dai palazzi. Diverso invece è il tempo necessario per fare conoscenza con il luogo, con i suoi angoli e le sue storie.
Photo by Laura Antoniolli
Un esempio? La Ferrara ebraica. Sulla carta parti dal ghetto, cioè percorri tre vie, Mazzini – Vignatagliata – Vittoria, cercando di immaginare cancelli che non esistono più, abiti d’altri tempi e chiedendoti se temperatura e odori fossero diversi in passato. Davanti all’ingresso delle sinagoghe hai un momento di incertezza per il fatto che se ne parla al plurale anche se il palazzo è uno solo, come è una sola la porta d’accesso. Insomma, 10 minuti a piedi e la Ferrara ebraica è teoricamente vista, spuntata sulla lista.
Se però una signora esce da un portone al civico 30 di via Vignatagliata e tu hai il coraggio di chiederle se puoi buttare un occhio all’interno, tutto può cambiare. Lei può decidere che è cortesia farti entrare e raccontarti degli affreschi degli appartamenti, mostrarti la scala in pietra del 1300 e raccontarti del terremoto che colpì Ferrara nel 1570. Può dirsi dispiaciuta di non essere una guida della città per cui tutto quello che può raccontarti finisce lì, salvo poi suggerirti di fare un salto al cimitero ebraico, nel caso fossi in cerca di un segno di Bassani: Giorgio Bassani, lo scrittore.
Photo by Laura Antoniolli
Puoi perderti il cimitero ebraico? Proprio di venerdì pomeriggio, ultima occasione prima della chiusura del fine settimana? Certo che no! Allora ringrazi che Ferrara sia piccina, così in 20 minuti puoi arrivare al cancello del cimitero, lanciare invettive agli dei perché il cancello è chiuso, provare due volte a suonare il campanello del custode senza avere risposta, rischiare di rinunciare, provare a chiamare il numero di telefono fisso indicato su Google e riuscire a farti aprire dalla custode che “ma ha suonato? Ah, sì, allora parlavo e non ho sentito”. Nessuno accanto a lei, ma che ne sai tu con chi vive o parla lei.
Gli uomini entrano solo con il capo coperto, una kippah artigianale viene fissata con una forcina ai capelli di chi sia sprovvisto di una qualunque forma di copricapo. La custode non ti lascia leggere la paginetta plastificata che racconta la storia del cimitero e dà per scontato che tu sia lì per il monumento funebre dedicato a Bassani, dandoti indicazioni per raggiungerlo: “avanti diritto, poi a destra, poi a sinistra e poi sempre diritto”. Si riveleranno quasi inutili nell’oceano verde del cimitero in cui le tombe, molte antichissime e poche moderne ma tutte ugualmente abbandonate, sono raggruppate come banchi di pesci senza ragione apparente né indicazioni.
Photo by Laura Antoniolli
Non capisci granché del luogo che stai attraversando, tra alberi secolari ed erba tagliata di fresco in cui si annidano zanzare e moscerini. Parlare ti risulta fuori luogo, fotografare poco meno. L’alfabeto ebraico sulle lapidi ti è inaccessibile quanto il conteggio degli anni (morto nel cinquemilasettecento… che?). Il monumento funebre che ricorda Giorgio Bassani, realizzato dallo scultore Arnaldo Pomodoro e dall’architetto Piero Sartogo, spicca per l’estraneità rispetto al contesto e la sua simbologia ti è comprensibile solo grazie a una descrizione che leggi online. Inaccessibile fa rima con mistero e alimenta il sentimento della curiosità: perché non raggiungere il versante opposto di Ferrara e visitare il MEIS – Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah?
Il MEIS è più un’esperienza da provare che un museo da visitare, cioè sì, ti racconta la storia della comunità ebraica in Italia dall’epoca romana fino all’inizio del ’900, ti aiuta a capire perché si parla di sinagoghe di via Mazzini e non di sinagoga, ma le nozioni pesano poco rispetto alle sensazioni. Non capita infatti in tutti i musei di essere sottoposti ai controlli sicurezza prima di entrare, di poter apprendere regole alimentari seguendo 4 percorsi in un giardino oppure di conoscere il significato delle lettere di un alfabeto sconosciuto attraverso le opere di giovani illustratori.
Photo by Laura Antoniolli
È passato un giorno dal tuo arrivo a Ferrara e hai avuto giusto il tempo di assaggiare una storia. Che cosa nascondono castello Estense, palazzo dei Diamanti, palazzo Schifanoia e le mura? Forse è per questo che sono stati inventati i weekend lunghi: per prendersi abbastanza tempo per conoscere le storie, oltre a visitare luoghi.