Cefalonia, la più grande delle isole Ionie, con a est la Grecia continentale e a ovest, oltre il mare, la Calabria. Atterro a fine agosto all’aeroporto Anna Pollatou, nome che non conosco e di cui cerco la storia: ginnasta cefalonita nata nel 1983, vince una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Sydney del 2000 e muore in un incidente d’auto nel Peloponneso a soli trent’anni. Un’accoglienza triste, penso, malinconica, come il caldo che fa evaporare il mare blu al frinire delle cicale.
In quindici minuti arrivo ad Argostoli, la capitale dell’isola, allungata sulla costa occidentale della baia che porta il suo nome. Lungo il percorso, piccole spiagge di sabbia e di ciottoli, un cartello che indica il monumento in onore degli italiani vittime dell’eccidio tedesco del settembre del ’43 e la lanterna di San Teodoro, un tempietto bianco che alcuni si azzardano a chiamare faro, testimonianza della presenza inglese sull’isola. Ricostruita dopo il terremoto che nel 1953 rase al suolo i centri abitati di Cefalonia, Itaca e Zante, Argostoli ha un sapore artificiale: una modernità che si sorregge a fatica, giurerei a causa della crisi greca che ha dimezzato pensioni e stipendi. Il venerdì sera nelle taverne della capitale, ai pochi tavoli occupati, siedono solo turisti, molti inglesi e qualche italiano.
Cefalonia è varietà di spiagge unita all’assenza di folla, che c’è solo se te la vai a cercare. Il terreno argilloso della penisola di Lixouri crea spiagge rossastre, a nord di Sami abbondano ciottoli e rocce, la spiaggia di Myrtos è l’emblema della spiaggia bianca e nella zona di Fiskardo ci si tuffa direttamente dagli scogli. Quindi serve un mezzo di trasporto. L’auto a noleggio è preferibile allo scooter, perché le distanze da percorrere sono importanti e i percorsi hanno tornanti e dislivelli, e piccoli passi di montagna sono inevitabili per passare da una costa all’altra. Il pullman invece consente di sperimentare l’effetto della musica greca a cui nessun autista pare disposto a rinunciare. Vedo sedicenni sprofondare nel sonno, forse trascinati dal peso morto di un pasto a base di moussaka, e giovani avventurose lamentare tristezza di fronte allo spettacolo del tramonto sul mare. La malinconia che si abbatte su ciascuno in modo diverso.
Della storia fatta di colonne ioniche doriche corinzie non scovo alcuna traccia, in compenso visito punti panoramici abitati da demoni antichi: quello di Sami vecchia dorme sul promontorio a ovest della città nuova, nascosto tra resti di mura ciclopiche e belare di capre, mentre quello della fortezza di Assos scruta l’orizzonte dall’alto di un isolotto collegato a Cefalonia da un piccolo istmo. Salpando dal porto di Sami nuova arrivo a Itaca. Superficie broccolosa e verde, corpo contorto che si confonde con quello delle isole vicine, la tocco con il timore che scompaia, quasi fosse un miraggio. Mentre il mare blu diventa arancione di tramonto, dall’alto del monastero di Katharon mi guardo intorno certa che presto arriverà Ulisse a raccontarmi finalmente la vera storia dei suoi anni per mare.
Saluto Cefalonia sorseggiando una birra Alfa al caffè Sollazzo, dove il mare diventa laguna, protetto dalle onde dal ponte De Bosset, e i cigni si avvicinano in cerca di cibo. Francesca, italiana che frequenta Cefalonia da trent’anni, dice che si va al Soulatso Cafè per incontrare la gente del posto, ma loro stanno al chiuso, lontani dai tavolini che occupano la passeggiata lungomare. O forse attendono l’aria dolciastra della sera che si abbina meglio a una sorsata di ouzo.