C’è un sorriso che non si dimentica. E non soltanto perché lo si vede per 172 volte, sulle facce che risplendono lungo i viali di Angkor. È il sorriso della quiete dell’animo, della pace interiore, della vita che sembra avere appagato ogni fantasia perché una mente tranquilla è riuscita a placare l’ansia dei desideri. Quel sorriso di Angkor non si dimentica mai: chi lo ha visto, e lo ha ricambiato, lo porta con sé per il resto dei giorni. Come un segreto da custodire, un esempio da imitare, una strada da seguire. È il sorriso di Avalokiteshvara, uno dei principali Bodhisattva, i seguaci di Buddha che hanno raggiunto la salvezza e sono prossimi al Nirvana.
Cambogia
Già il nome evoca suggestioni che hanno il profumo dolce delle strade d’Oriente, il languore infinito delle acque di fiumi che scorrono larghissimi e lenti, i colori morbidi di un orizzonte avvolto dal fumo sottile degli incensi. E che per questo nasconde e lascia immaginare. Proprio come fanno ancora alcuni templi di Angkor, ritrovati dopo secoli di abbandono.
Come visitare Angkor
Angkor è un luogo magico e affascinante che attira visitatori da tutto il mondo. Offre una combinazione unica di storia, arte e bellezza architettonica, rendendolo una meta imperdibile per gli appassionati di viaggi e cultura.
Esplorare il complesso di Angkor richiede tempo e pazienza. È consigliabile dedicare almeno due giorni per visitare i principali templi e godersi l’atmosfera mistica dell’area. La città di Siem Reap, situata vicino al sito di Angkor, è il punto di partenza ideale per esplorare la zona, con i suoi hotel, ristoranti e con tutti i servizi di cui i viaggiatori possono aver bisogno. E ospita il famoso “mercato Vecchio, noto per i suoi prodotti artigianali locali.
Durante la visita ai templi di Angkor si consiglia di vestirsi in modo appropriato, ossia di coprire le spalle e le ginocchia per rispetto culturale. Inoltre, è importante rispettare le regole del sito archeologico e seguire le indicazioni dei custodi per preservare e proteggere questo prezioso patrimonio.
I templi di Angkor Wat
Angkor è sempre stata una battaglia tra la natura e gli esseri umani: per come fu difficile costruirla e per come è stato incredibile ritrovarla. Alcuni templi, con saggia decisione, sono stati lasciati come la violenza della giungla li ha trasformati, con le radici che sembrano enormi dita tese a trattenere ciò che l’uomo aveva abbandonato e ora rivorrebbe indietro.
Sulle torri del tempio Bayon, forse il più bel tempio di Angkor, ci sono 172 volti di Avalokiteshvara e con una di quelle meraviglie architettoniche che qui già riuscirono a concepire intorno all’anno mille. Quel viso gigantesco è all’altezza di chi lo guarda e inquieta e calma, agita e rassicura.
Lungo il Mekong, e anche fra i templi di Angkor, si stendono pure le tuniche arancioni e giallo zafferano dei monaci. È soprattutto a Buddha che i cambogiani rivolgono le loro preghiere. Fare il monaco è un piacere dell’anima ma è pure considerato quasi un dovere civile. Perché il monastero è palestra, dove ci si allena anche alle intemperie. Ma fra digiuni e albe passate a pregare si trova anche il modo per ritagliare momenti di piacere e serenità.
Gli apostoli di Buddha stanno lì, sui sassoni della riva, a riposare o pregare. Oppure si incontrano sulle torri di Angkor, o seduti sui templi, che per loro restano luoghi di preghiera, a osservare la folla che scivola tra quei capolavori. Sorridono, a volte, a volte restano muti. Ma il pomeriggio, quando il sole precipita oltre la giungla e arrossa il cielo, riprendono la loro marcia verso i monasteri.