A Bergamo vivono i bergamaschi e le bergafemmine. Una di queste è emigrata al Sud ed è arrivata fino a Crema. Ha scavalcato il confine provinciale tra Bergamo e Cremona ed è espatriata per gestire una gelateria nella Crema vecchia, quella che giri comodamente a piedi con il solo rischio di investimento da bicicletta. L’ho incontrata in un caldo pomeriggio di metà giugno, in cerca di una granita al lampone. Ritrovarsi bergafemmine fuori provincia fa lo stesso effetto dell’incontro tra italiani all’estero, un misto tra ammiccamento patriottico e competitività per chi saprà arrivare più lontano da casa. Ma la tensione si è risolta quando lei mi ha dato la notizia che Crema, nei pomeriggi estivi, è vuota di passanti almeno fino alle 16: ero arrivata a Crema in cerca di un’altra Lombardia, quella fuori capoluogo, quella in cui sanno subito che non sei del posto, e così lei mi stava assicurando che fosse.
Crema è la cittadina delle palazzine dai colori pastellati di non più di tre piani, comunque sempre meglio limitarsi a due e in gradazioni color crema (forse per rispetto del nome); la cittadina che colleziona biciclette, portoni a volta in legno e cortiloni e cortiletti interni; la cittadina dei palazzi storici che furono “già” qualcos’altro (tipo il palazzo Terni già Bondenti accanto al Museo Civico o il palazzo Pozzali già Patrini in piazza Premoli). A Crema non importa sapere dove andare o che cosa vedere, importa solo camminare e guardarsi intorno.
La domenica mattina si cammina lungo via Mazzini, il corso che porta in piazza Duomo, e poi, man mano che le temperature salgono, si combatte il caldo parcheggiandosi sotto le piante dei giardini pubblici Porta Serio o del parco comunale Campo di Marte, a seconda che ci si trovi a nord o a sud. La scelta settentrionale si mostra più affascinante per la mostra mercato del piccolo antiquariato e del vintage programmata ogni penultima domenica del mese, per il ruscelletto con ponticello in legno, che richiama terre con più alberi e meno campi di grano, e per le radici che formano popolazioni di elfi.
La tradizione vorrebbe che per pranzo si assaggiasse una porzione di tortelli cremaschi per provare l’esperienza della pasta ripiena imbottita più di dolce che di salato: amaretti Gallina (non googleateli che tanto non li trovate, accontentatevi di sapere che sono scuri), uva sultanina, cedro candito, mentine (sì, mentine, 3 o 4 per 2 kg di tortelli) e mostaccino (un biscotto speziato della zona) ai quali si aggiungono formaggio, uovo e pangrattato. Ma io li ho già assaggiati e ci sono troppi gradi all’ombra per ingurgitare pietanze condite con burro fuso, allora opto per il chiringuito che addobba il portico del Mercato del lino e dei grani, con i suoi tavoli realizzati con i pallet e la musica orecchiabile. Mi rifilano come aperitivo una pasta fredda con polpo che dubito sia stato pescato nelle acque del fiume Serio, confine orientale della cittadina, e che quindi cozza con qualunque idea di tipicità, ma sono io che ho rifiutato i tortelli, quindi nessun diritto di lamentela.
Finisco il mio pellegrinaggio casuale di Crema al Museo civico, incuriosita dall’installazione della Casa cremasca. La ricostruzione di due ambienti (cucina e camera da letto) di una casa contadina di fine Ottocento racconta un mondo legato al lavoro nei campi, che usa parole di cui non saprei dire il significato. Un mondo antico che è rimasto nel grano che borda le strade dei dintorni, nell’odore degli animali che ti investe a tratti mentre ti avvicini a Crema o mentre te ne vai, perché da Crema si passa per andare altrove, Milano, Bergamo, Mantova, Cremona. Crema è il grano antico, nascosto dalla pula dei capoluoghi lombardi.