Mi basta chiudere gli occhi per ritrovarmi di nuovo su Achill Island, un lembo di terra d’Irlanda circondato dall’Atlantico. La strada per raggiungerla attraverso il Ballycroy National Park è entusiasmante, circondata da brughiere, un paesaggio selvaggio e quasi completamente disabitato. Ti rendi conto che il niente e il nulla possono diventare tutto per te.
Rivedo ancora Keem Bay con la sua spiaggia dorata e risento l’incredulità che non ci fosse nessuno oltre a noi a osservare questa bellezza di Madre Natura. L’oceano che si infrange sulla sabbia, i gabbiani che volano felici mentre sfiorano l’acqua; il sole che con un po’ di timidezza illumina le ultime ore della giornata.
Risento le nostre grida quando la nostra vista rende reale una figura che era solo nei nostri desideri: «Le balene, le balene!». Ma sono solo scogli, al largo. Eppure siamo ugualmente commosse che quelle rocce ci abbiano reso così felici per un istante. E poi la notte, buia e fredda, ci regala un manto di stelle luminose: la Via Lattea così incredibilmente vicina che istintivamente allungo le braccia certa di poterla sfiorare.
Il mio viaggio in Irlanda lo rivedo chiudendo gli occhi, ma del tragitto da nord sulla Causeway Coast fino a Limerick, lungo la Wild Atlantic, si susseguono immagini in ordine sparso. O forse è la musica il filo conduttore dei miei ricordi, perché le mie orecchie sono state deliziate da voci e suoni meravigliosi, a dimostrazione di quanto la musica sia parte integrante della terra irlandese.
Rivedo il musicista dai capelli verdi che io e Giulia abbiamo incontrato nel pub di Letterfrack, nel Connemara. Il pub non è grande ma è molto accogliente: l’unico del paese, è gremito di persone, irlandesi e stranieri; l’atmosfera è gioiosa e calda, anzi bollente, con il gestore che ci catapulta di fronte al musicista. Avrà 50 anni, un banjo e una chitarra con un buco sul corpo grosso quanto un pugno; canta e coinvolge tutto il pub standosene seduto al suo tavolo, mentre un numero considerevole di Guinness sfila davanti a lui. Spiega che sono 26 anni che suona con quella chitarra, «prima e dopo il buco, non me ne separo mai». Il suo canto e la sua musica creano una magia, cancellano età e provenienza, lasciando al loro posto solo voglia di spensieratezza e di condivisione.
Rivedo lei, mentre torno dal bagno, seduta al mio posto. Soprannominata da me e Giulia Joni Mitchell, come la cantautrice canadese. L’abbiamo vista la prima volta seduta fuori dal nostro ostello, con la sua chitarra, gli occhi chiusi e una voce delicata. L’età incerta per quella lunga treccia di capelli quasi grigi e il viso giovane e sereno. Adesso suona e canta ma solo per se stessa, la voce è un sussurro e gli accordi appena sfiorati, mentre il frastuono del pub e la musica di Mister Green continuano indisturbati. Lei incurante, in un’altra dimensione. Avrei voluto parlarle ma ho preferito non sgretolare il suo mistero.
A Galway, un distinto signore dagli occhi gentili ci ha aiutato con gli spiccioli per il pedaggio del parcheggio. Stava per andare per la sua strada, ma si è voltato per un istante: «Do you like music?». Io e Giulia ci guardiamo e sorridiamo del fatto che qualcuno stia chiedendo proprio a noi se ci piaccia la musica. Ovviamente rispondiamo con un sì: «Yes, of course». Allora ci indica un pub a poca distanza. Una voce di donna accompagna i musicisti senza nessuna amplificazione: e-mo-zio-nan-te!
Ma le strade di Galway sono un tributo all’arte e alla musica. Questa piccola cittadina emana un’energia inaspettata ed entusiasmante. È il rock che sentono le mie orecchie? Aspetta, fermarti qui dove tutto il pub canta i Beatles! E chi è quel ragazzo? Ecco che cosa si intende quando si dice “avere il rock’n’roll nel sangue”.
Ho rinominato Galway la News Orleans d’Europa per la capacità dei suoi artisti di riuscire a coinvolgere davvero chiunque. Proprio come l’Irlanda, che emoziona grazie a incontri speciali, con piccoli uomini ricolmi di musica e una natura poetica.