«La prima cosa che noterai quando scenderai dall’aereo sarà la puzza». Questo mi avevano detto persone che erano state in India, e questo mi aspettavo. Ma io la puzza non l’ho sentita. Quello che invece ricorderò sempre di questo paese saranno monumenti belli da togliere il fiato, odore di spezie, persone gentili, cibo piccante e tanto altro.
Vi racconto un po’ di tutto questo, vissuto da me e dal gruppetto che ho accompagnato.
L’arrivo in India
Lo sbarco a Delhi è un po’ traumatico, non tanto per gli interminabili controlli doganali in aeroporto, quanto per i 42 °C di temperatura esterna e i 16 che ci sono sul pulmino che ci porta in hotel. Oltre all’uso sconsiderato dell’aria condizionata, sperimentiamo però subito anche l’accoglienza indiana: un omino ci mette al collo una ghirlanda di fiori e ci disegna in fronte un “tilak” di benvenuto.
E già nell’ora di viaggio fino all’hotel ci rendiamo conto di essere in un altro mondo: sarà per il traffico convulso e disordinato del tipo “accelerare suonando”, per le mucche e le scimmie libere qua e là, per le biciclette utilizzate per trasportare tubi lunghi 5 metri, per gli ambulanti che vendono frutta già sbucciata e tagliata, per le decine di tuk tuk, per le donne che trasportano enormi cumuli di fieno sulla testa, sta di fatto che siamo impazienti di immergerci in questa realtà così lontana da noi.
Cominciamo a cena con il tipico pollo tandoori: oltre a essere delizioso, ci fa riconsiderare quello che era il nostro concetto di “piccante”.
Old Delhi in risciò
Il primo monumento di Delhi che visitiamo è il Jama Masjid (che significa “moschea che riflette il mondo”), la moschea più grande dell’India, in grado di ospitare 25.000 fedeli. Appena usciti, saliamo a due a due in risciò e ci addentriamo nel Chandni Chowk, l’affollato mercato di Old Delhi. Non è posto per turisti: la merce in vendita è di qualità pessima, ma è lì che comprano gli indiani che non possono permettersi di meglio. Ci colpisce il fatto che ci sono solo uomini: troppo contatto fisico, troppi spintoni, le donne non ci vanno. Tra odore di spezie, grovigli di cavi elettrici ovunque, decine di risciò e un dedalo di viuzze, terminiamo il nostro giro, che è stato davvero un’esperienza indimenticabile.
New Delhi
Nel frattempo la nostra giovane e paziente guida, Gaurav, che ha già capito di che pasta sono fatti questi otto italiani chiassosi e ridanciani che gli sono capitati, ci propone drastiche modifiche nel programma, per adattarlo a noi. E così, ben felici, ci spostiamo a New Delhi, ma vediamo il Raj Ghat, il luogo dove è stato cremato il Mahatma Gandhi, solo passandoci davanti in pullman, e così anche per altri monumenti piuttosto moderni. Ci dirigiamo invece al tempio indù Lakshmi Narayan, colorato e arzigogolato all’esterno e adorno di statue e dipinti di divinità all’interno.
Ma quello che più ci è piaciuto di Delhi è un altro fuoriprogramma, il tempio sikh Gurdwara Bangla Sahib: non è una meta turistica, infatti gli unici occidentali siamo noi, che diventiamo l’attrazione del posto, con famiglie di indiani che vogliono farsi fotografare insieme a noi. Impariamo qualcosa sulla religione dei sikh e rimaniamo affascinati da queste persone altruiste e dedite al prossimo: fuori dai cancelli del tempio, alcuni uomini donano il sangue, mentre sul retro del tempio, nelle cucine, decine di volontari impastano e cucinano. E anche camminare su tappeti lisi e calpestati da migliaia di piedi non propriamente puliti, o sul pavimento unto delle cucine senza né scarpe né calze, diventa per noi un’esperienza indimenticabile.