Volevo tornare in Islanda tra Natale e Capodanno, ma non ho avuto il coraggio di prenotare il quarto viaggio nello stesso luogo nel giro di due anni. Allora ho pensato che, vulcano per vulcano, il Vesuvio poteva essere un’ottima alternativa e, anziché prenotare l’aereo, ho optato per il treno: il Frecciarossa partito da Milano mi ha recapitata a Napoli in 4 ore, facendomi venire il dubbio che l’Italia si fosse ridotta a uno stivaletto.
Cosa vedere a Napoli
Sono scesa dal treno con temperature folli per la mia idea di Dicembre fatta di abeti e pupazzi di neve e la guida turistica chiusa nello zaino. Potrei dire che pianificare mi annoia, ma la verità è che mi ero posta come obiettivo quello di visitare Napoli fingendo di essere in Islanda, per cui l’elenco alfabetico di chiese e musei che riempie le guide sulla città si era rivelato inutile. Avevo salvato soltanto la S con la “solfatara di Pozzuoli” e la V con il “Vesuvio“. Poi, per quella tendenza delle pagine ad appiccicarsi tra loro, ero capitata sulla N di “Napoli sotterranea” e la mia attenzione era stata attirata dal grossetto della parola “tufo”; allora avevo pensato di aver trovato l’elemento mancante per raggiungere il numero perfetto. Il fatto che due destinazioni su tre fossero fuori Napoli era un dettaglio che ero prontissima a trascurare.
La solfatara di Pozzuoli
“Prendi la metro, linea 2” mi dicono “e scendi a Campi Flegrei”. La metro in realtà ha le sembianze di un treno regionale e la fermata giusta è Pozzuoli- Solfatara. Comunque in meno di un’ora arrivo a destinazione e resto perplessa fuori dalla stazione, perché se dicono “solfatara” mi aspetto sbuffi di vapore con fragranze più da uovo marcio che di pane appena sfornato, un terreno che alcuni dicono lunare e altri marziano (tanto chi ti può smentire?) e pozze gorgoglianti di fango in tonalità grigio scuro. Intorno a me, invece, ci sono costruzioni che dal mare risalgono il pendio costiero e una vista su un golfo di un blu intenso nel sole invernale. Alla fine scopro che la solfatara esiste davvero, nascosta dietro un monte che la incornicia ad anfiteatro e camuffata dal campeggio che è stato costruito in corrispondenza della strada di accesso.
Una salita costeggia l’area e consente una visuale che spazia dalla zona extraterrestre fino al mare e al Monte di Procida. Il vento è a raffiche, come in Islanda. Rasserenata dall’aria famigliare, percorro i brevi sentieri che attraversano la piana biancastra e mi godo il vapore che attenua le temperature oggi insolitamente rigide per questi luoghi. Il verdetto finale è favorevole: solfatara piccola e stramba, ma che suscita la sensazione netta che sotto ai tuoi piedi stia accadendo qualcosa a tua completa insaputa.
Il Vesuvio
Dicono che il cratere del Vesuvio si possa raggiungere da Napoli con una combinazione di treni e autobus. Io ho avuto il sospetto che lo dicessero come della fermata Campi Flegrei per andare alla solfatara di Pozzuoli, allora ho sfruttato il passaggio in auto di un amico conosciuto in Islanda, ma napoletano Di Origine Controllatissima (infatti prima delle fatiche della giornata mi ha somministrato una dose di sfogliatelle calde della pasticceria Attanasio).
Mi aspettavo che ad un tratto la pendenza della strada aumentasse e che le case si diradassero per una forma di rispetto timoroso e lungimirante verso il Vesuvio, invece sembra che qui nessuno si preoccupi del fatto di vivere seduto su un cuscino ripieno di lava e le costruzioni spariscono soltanto vicino all’ultimo parcheggio, a una mezzora a piedi dalla vetta.
La scelta della giornata non è fortunata: uno strato di nuvole basse copre il cielo e, dalla bocca del vulcano, è un tappetino grigio che impedisce di vedere il paesaggio dei due golfi, quello di Napoli e quello di Sorrento. Anche qui il vento è a raffiche, come in Islanda, quindi poter costeggiare il cratere e sbirciare al suo interno in cerca del centro della Terra è comunque una soddisfazione. Dopo la lamentela di un venezuelano per l’assenza di lava borbottante in fondo alla bocca del Vesuvio, capisco di non essere l’unica arrivata a Napoli pensando ad altri luoghi e mi avvio sulla strada del ritorno.
Si impone una sosta obbligata a metà versante dove, davanti a un piatto di fritto napoletano, posso recuperare il paesaggio che dalla cima non era stato visibile.
Buoni propositi
La sera, mentre mangio pizza e babà sul lungo mare, realizzo che questa pretesa di trovare un po’ di estremo Nord a Napoli è veramente stupida, perché sarebbe come arrivare sino a qui e ostinarsi a mangiare solo salmone. La metafora gastronomica fa colpo e allora decido di provare a dare una svolta ai miei piani.