Tra il sud dello Utah e il nord dell’Arizona c’è la maggiore concentrazione di canyon del mondo. Si viaggia attraverso un museo geologico di proporzioni epiche. Ogni anno migliaia di visitatori rimangono strabiliati davanti alla magnificenza della natura della Monument Valley: i pinnacoli, gli archi, le butte (monoliti a forma di camino) e le mesas (rilievi isolati dalle pareti verticali e dalla cima piatta), frutto dell’azione erosiva del Colorado e di altri fiumi, insieme a vento, gelo e pioggia.
Non è solo questione di fascino naturale, però. Il successo della Monument Valley è forse anche il frutto del desiderio di provare l’ultima esperienza western, assaporare la frontiera, vivere le avventure degli antichi cowboys. Vivere la Monument Valley significa capire il mondo della civiltà delle pianure, che chiamare “indiano” rischia di banalizzare.
Sul set di “Ombre Rosse”
“Ombre Rosse” fu il primo film girato da John Ford nella valle e fece scuola, trasformando questo scenario nell’immaginario stesso del selvaggio Far West: teatro di centinaia di film western, ambientazione per le famose avventure di Tex Willer, la Monument Valley è il più struggente paesaggio del West, un susseguirsi di scenografie modellate dalla natura, dove assaporare l’atmosfera del deserto e ascoltare i suoi silenzi interrotti solo dal rumore del vento e dagli ululati dei coyote.
Le tribù della Monument Valley
Nelle praterie, prima dell’arrivo dei bianchi, vivevano poche tribù, cacciando e coltivando la terra. L’introduzione del cavallo da parte degli spagnoli diede inizio allo sviluppo della civiltà indiana entrata nell’immaginario collettivo. I cavalli si moltiplicarono e gli indiani divennero abili cavalieri dediti alla caccia ai bisonti. Il cavallo rivoluzionò la vita delle praterie e questo è il primo messaggio che si percepisce entrando in questa terra.
A Blanding, sulla strada tra Moab e la Monument Valley, si può avere uno spaccato della cultura delle tribù che abitavano questi luoghi prima dell’arrivo degli europei. Tappeti e relativi telai, coperte, mocassini, ceramiche, paglie, archi e frecce, monili in diversi materiali e attrezzi agricoli narrano le vicende di Navajo e Ute e dei loro predecessori, gli antichi Anasazi. L’Edge of the Cedars Museum espone la riproduzione di un villaggio anasazi e di alcune incisioni situate in aree poco accessibili della regione.
L’antico popolo degli Anasazi ha lasciato i più interessanti resti archeologici del sudovest americano. Il nome “anasazi” deriva da una parola navajo che significa “antichi” o “antenati nemici” dal significato misterioso. Prima cacciatori e poi agricoltori, vivevano in caverne (dal 400 al 700 d.C.). Più tardi cominciarono a costruire villaggi, i pueblo, vicino a corsi d’acqua. Il loro luogo di culto era la kiva, una stanza dove comunicavano con gli spiriti. Nel 1300 scomparvero improvvisamente senza lasciare tracce. Si ritiene si siano estinti a seguito della desertificazione del suolo e per un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.
L’incontro con i Navajo
Nella Monument Valley vivono ancora oggi gli eredi degli antichi Navajo, nelle loro caratteristiche capanne di fango a forma di cupola, e i visitatori hanno l’opportunità di conoscere la cultura e la storia navajo attraverso visite guidate. Le guide navajo forniscono approfondimenti sul significato della terra, condividono storie e offrono una prospettiva unica sul patrimonio culturale e naturale della zona.
Il valore fondante della cultura navajo è l’armonia con il divino e la natura e l’idea che la malattia sia sintomo di disarmonia. Da qui le cerimonie finalizzate alla guarigione dei malati e alla conservazione del benessere di tutta la tribù. Ancora oggi gli anziani navajo officiano riti, e la loro importanza è tale che, per garantirne la riservatezza, il Monument Valley Park osserva un “bizzarro” orario d’apertura: apre un’ora dopo l’alba e chiude un’ora prima del tramonto, escludendo i visitatori nei momenti in cui il sole radente incendia le rocce in un trionfo paesaggistico.